Ciclisti e biciclette in città che creano sconcerto e sorpresa per il solo fatto di esistere, e poi però scappano con il bottino

«Vai a lavorare, barbone!»

Mi stavo schiantando contro un muro dal ridere quella mattina: ero in via Corelli a Milano e stavo precisamente andando a lavorare. Però per una frazione di secondo avevo occupato il centro della carreggiata per evitare una buca, una voragine, e un automobilista dietro di me si era innervosito un sacco. Lui sì che stava andando a lavorare e quindi aveva fretta, io ero in bici e quindi – dal suo punto di vista, in giro a bighellonare.

Lo stesso fenomeno in base al quale un automobilista che è fermo, bloccato in coda dietro una o più altre automobili lo considera un fatto naturale, ineluttabile – siamo qui nell’ingorgo ma siamo tutti elementi della stessa razza; ovvio, a un certo punto magari inizia a suonare il clacson, ma lo fa quasi per dovere, per far sentire che lui ha fretta, che ha da lavorare, mica è in giro a perdere tempo – il tema ritorna. Quel fenomeno dunque che ti fa stare sereno per qualche secondo dietro un’altra automobile, ma che invece ti fa andare in tilt se a bloccarti sono una o più biciclette.

Si può accettare di essere incolonnati nel traffico di auto, ma non in quello di biciclette. Riflettiamoci: perché?

Probabilmente perché migliaia di persone hanno preso la patente imparando che i ciclisti devono stare a destra, all’estrema destra, che più a destra si esce dallo schermo. E quindi quando questa destra è moderata, magari un centro destra, ecco: è inaccettabile. Non parliamo poi di due ciclisti che pedalano affiancati (state calmi, non agitatevi: si può fare, in città lo prevede anche il Codice della strada), e figuriamoci se si tratta di una critical mass, cioè di gruppi di ciclisti che formano appunto una massa occupando l’intera carreggiata, a quel punto il povero automobilista va in tilt. Perché se da un lato è vero che a quel punto potrà davvero dire «Andate a lavorare, barboni!» (Critical mass è nata anche come sostegno ai pendolari, ma oggi chi pedala in una critical mass raramente sta andando in ufficio) dall’altro dovrà per forza calmarsi o cambiare strada. Tu prova a fargli notare che dramma sarebbe se tutti quei ciclisti fossero su un’automobile e non su una bicicletta, ma difficilmente capirà.

Siamo tutti cresciuti in un mondo dove il mezzo di trasporto era l’automobile. La bicicletta era una cosa da sfigati oppure per le gite nei parchi di domenica oppure ancora era per il Giro d’Italia. Tanto è vero che un sacco di persone che pedalano per le strade durante il weekend, che partecipano a gran fondo e gare di ogni tipo, poi non usano la bicicletta per andare in ufficio. Non ce la fanno, è una questione di testa.

Il fatto che adesso la bicicletta pretenda spazio nel contesto urbano, addirittura occupi la strada senza cedere il passo alla regina automobile, ecco: crea sconcerto. Uno sconcerto che a volte è da simpatico brontolone altre volte da incosciente isterico, come quando alla mattina ogni tanto qualche automobilista urla, grida e strepita perché costretto a uno, due minuti di rallentamento dietro massa marmocchi – cioè palesemente ed evidentemente bambini piccoli che stanno andando a scuola in bici con i loro genitori.

Nemmeno vedere un Ufo potrebbe generare più sorpresa.

Questa clamorosa sottovalutazione della bici e la conseguente sorpresa nel vederla in giro in città è apparsa ancora più evidente qualche giorno fa, quando una gioielleria del centro di Milano è stata rapinata da alcune persone che sono poi scappate in bicicletta. Sconcerto.

Ma come?! Ci siamo fatti scappare 4 banditi in bicicletta? Noi, con tutte le nostre telecamere, i nostri posti di blocco, il controllo e il presidio del territorio ci siamo fatti beffare da quattro barboni in bicicletta? Che scandalo!

E invece. Invece proprio no. Un ladro furbo oggi è chiaro che in città si muove in bici, in quale altro modo potrebbe essere altrettanto veloce, efficace e libero?

Lo hanno capito i criminali, aspettiamo tutti gli altri!